giovedì 12 novembre 2009

Parma - 32enne muore dopo una notte in cella


fonte corriere

Giuseppe Saladino era stato fermato dopo aver violato gli arresti domiciliari per un furto di monetine

dal nostro inviato Francesco Alberti

PARMA - Quindici ore in carcere e una folla di perché. Un giovane di 32 anni morto senza che ci sia un apparente motivo. Una madre che accu­sa: «Era sano, me l’hanno ri­dato senza vita». Un’inchie­sta per omicidio colposo con­tro ignoti, per ora. Un carce­re, quello di via Burla a Par­ma, che si ritrova all’improv­viso sotto i riflettori. Troppo presto, ancora, per fare analo­gie con il terribile caso di Ste­fano Cucchi: comunque una bruttissima vicenda, aperta a qualsiasi sviluppo, tutta da decifrare. Giuseppe Saladino aveva 32 anni, non era uno stinco di santo, ma nemmeno un delinquente incallito. Qual­che mese fa, era stato con­dannato a un anno e due mesi di reclusione dopo esse­re stato pizzicato mentre fa­ceva incetta di monetine in alcuni parchimetri del cen­tro storico. Una condanna esemplare, come si dice in questi casi, con l’unica conso­lazione di poterla scontare a casa, agli arresti domiciliari, sotto gli occhi della madre, Rosa Martorano.

Tutto è fila­to liscio fino a venerdì scor­so quando, a metà pomerig­gio, Giuseppe, non renden­dosi forse conto della gravità del gesto, è uscito di casa: di fatto, per il codice penale, si è trattato di una evasione. La sua passeggiata però è stata di breve durata. Sorpre­so da una pattuglia della poli­zia e riconosciuto, è stato im­mediatamente portato nel carcere di via Burla. Addio domiciliari, per lui. Erano le 17 di venerdì quando le por­te del penitenziario si sono chiuse alle sue spalle. Quindi­ci ore dopo, alle 8 di sabato, in casa della madre Rosa è squillato il telefono. All’altro capo del filo c’era il direttore del carcere: voce bassa, tono di circostanza. Racconta la donna ai microfoni di Tv Par­ma: «Il direttore mi ha detto che Giuseppe era morto, che era stata una cosa improvvi­sa, inspiegabile, mi pare ab­bia parlato di un malore. Poi ha aggiunto che aveva volu­to telefonarmi di persona perché aveva preso in simpa­tia il mio ragazzo e perché sa­peva che siamo brave perso­ne... ».

Parole, ovviamente, che non possono bastare a una madre. La donna, infatti, si è im­mediatamente rivolta a un avvocato, deciso a fare luce: «Voglio sapere, voglio che tutto venga chiarito, non può succedere una cosa del genere». Il lavoro del legale Letizia Tonoletti, alla quale si è rivolta Rosa Martorano, parte da un assunto («Il ra­gazzo, quando è entrato in carcere, era sano») e da un in­terrogativo («Cosa è succes­so in quel breve lasso di tem­po?»). Due periti, uno nomi­nato dalla famiglia, l’altro dal sostituto procuratore Ro­berta Licci, avranno il compi­to di risalire alle cause del de­cesso, prima tappa di un per­corso investigativo che pun­ta a ricostruire nei dettagli quelle maledette 15 ore tra­scorse dal giovane nel carce­re di via Burla. L’autopsia è già stata eseguita, i risultati si conosceranno nei prossi­mi giorni.

11 novembre 2009


Nessun commento:

Posta un commento