giovedì 25 marzo 2010

Torino. Striscione per Joy al CIE


Torino, 24 marzo 2010
Di fronte al CIE di corso Brunelleschi è apparso uno striscione con la scritta “Joy, uno sbirro la stupra, lo Stato la deporta”.

Joy, con gli altri reclusi nel CIE di Milano si è ribellata al prolungamento da due a sei mesi della detenzione nel centri.
Joy ha denunciato il poliziotto che, lo scorso agosto, ha cercato di violentarla.
Joy uno di questi giorni potrebbe essere deportata. Nel suo paese, la Nigeria, rischia la vita perché i papponi da cui è fuggita la cercano, ma chi vuole tapparle la bocca non guarda in faccia nessuno.

Non permetteremo che sulla sua storia cali il silenzio.

Foto dello striscione e un breve testo sulla sua storia.
Chiudere i CIE, aprire le frontiere!

Chiudere i CIE, aprire le frontiere!

Nelle prigioni per migranti, i CIE, soprusi, pestaggi, umiliazioni, cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano. Lì chiudono i “senza carte”, uomini e donne colpevoli di cercare un’opportunità di vita nel nostro paese. Vengono dai tanti Sud del mondo: sono fuggiti dalla miseria, dalla guerra, dall’oppressione e qui hanno trovato sfruttamento bestiale, razzismo, leggi speciali.

Lo scorso agosto, quando il pacchetto “sicurezza” è diventato legge e la reclusione nei CIE è passata da due a sei mesi, nelle gabbie degli immigrati è divampata la protesta, con scioperi della fame, episodi di autolesionismo, materassi bruciati, tentativi di fuga.
Per lunghe notti, dalle prigioni dei senza carte si sono levate grida. Grida nel silenzio.
Nel CIE di Milano la protesta è diventata rivolta. 18 uomini e 5 donne sono stati arrestati.
Le ragazze si chiamano Joy, Hellen, Priscilla, Debby, Florence: alla prima udienza del loro processo – all’apparire in aula dell’ispettore capo di polizia Vittorio Addesso – hanno gridato forte. La loro rabbia andava oltre la paura. Addesso aveva fatto violenza a Joy, convinto che una ragazza in prigione, africana e prostituta non si sarebbe ribellata. Invece la dignità è più forte della violenza dello Stato, più forte del giogo patriarcale.
Il racconto della ragazza la dice lunga su chi, vestendo la divisa, pensa di poter disporre liberamente dei corpi rinchiusi dentro al CIE. Gente senza carte, senza diritti, senza futuro. Durante la rivolta la violenza dei poliziotti non certo per caso si è concentrata su di lei e sulle ragazze che avevano assistito ai violenti palpeggiamenti di Addesso. A terra, ammanettata, è stata più volte manganellata come anche le sue compagne. Il suo rifiuto le è costato anche un pugno in faccia dall’ispettore-capo in persona.
In settembre le ribelli e i ribelli del CIE sono stati condannati a sei mesi. Uno di loro a dicembre l’ha fatta finita uccidendosi. Sapeva che, per gente come lui, le gabbie non finiscono mai. E la forza che l’aveva sorretto nel deserto, nel mare, nel CIE per migranti, l’ha infine abbandonato.

Le cinque ragazze, finiti i sei mesi, sono state (ri)portate nei CIE.
Joy da qualche giorno è in quello di Ponte Galeria, a Roma. Qui da due settimane gli immigrati scioperano e protestano contro le restrizioni imposte dalla cooperativa Auxilium, subentrata alla Croce Rossa nella gestione di un centro tra i peggiori d’Italia. Auxilium ha deciso di tenere chiusi in cella i reclusi, permettendo l’uscita solo per l’ora d’aria. C’é qualcuno che ancora dubita che i CIE siano galere?
Per Joy e due sue compagne, Hellen e Florence, il CIE di Ponte Galeria è l’anticamera dell’espulsione in Nigeria. Nonostante la ragazza abbia intrapreso il percorso per ottenere il permesso in base alla legge che “dovrebbe” tutelare le vittime di tratta, la vogliono buttare fuori. Le sue accuse all’ispettore capo del CIE Addesso la condannano alla deportazione. Un poliziotto prova ripetutamente a stuprarla, lo Stato la butta fuori per tapparle la bocca.

In Nigeria la aspettano gli stessi papponi che l’hanno portata in Italia con il miraggio di un lavoro da parrucchiera, che già hanno minacciato la sua famiglia perché lei non ha ancora saldato il “debito” con i suoi sfruttatori.

Agli angoli delle nostre strade sono tante quelle come Joy, nate senza futuro, con in corpo la violenza dei papponi e quella dello Stato.

Se un giorno qualcuno ci chiederà dov’eravamo quando deportavano la gente, quando davano la caccia agli schiavi nelle campagne, quando uomini e donne morivano in mare e nei cantieri, quando i caporali stringevano le catene al collo di qualcuno, quando un uomo in divisa stuprava una ragazza nel CIE, vorremmo poter rispondere che eravamo lì, con gli altri, a resistere alla barbarie. Anche se un giudice ci chiamerà delinquenti, perché sappiamo bene che i delinquenti, quelli veri, siedono sui banchi del governo e nei consigli di amministrazione delle aziende.
Se non ora quando? Se non io, chi per me?

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lunedì 22 marzo 2010

Torino - Dichiarazione di uno degli anarchici antirazisti arrestati il 23/2/10

Un compito facile facile

Buona parte degli imputati di questo processo sono anarchici, e accusar gli anarchici di “istigazione a delinquere” può sembrare un compito facile facile, quasi quanto sparare sulla Croce Rossa.

Portando in sé un senso di giustizia e di libertà che non si cura delle leggi, ogni anarchico fa della sua stessa vita un invito continuo a lottar contro le ingiustizie, e quindi a violare le leggi che le sanciscono: è una lunga e reiterata “istigazione a delinquere”, la vita di ogni anarchico.

Ma nella attesa che qualche nuova iniziativa legislativa metta finalmente fuorilegge gli anarchici in quanto tali, chi ci accusa oggi dovrà pur prendersi l’onere di provare che qualcuno abbia in qualche maniera indotto dall’esterno i prigionieri dei Cie di tutta Italia ad insorgere a turno ogni settimana che è passata da due anni a questa parte, causando centinaia di migliaia di euro di danni ed inceppando seriamente la macchina delle espulsioni. E dovrà pure trovare delle prove che questo “istigatore” sia qui seduto oggi sul banco degli imputati.

Queste prove, nella “ordinanza di custodia cautelare” che abbiamo tra le mani, non si riesce proprio a vederle. E non le si vede perché queste “istigazioni” non ci sono mai state, e non era necessario né giusto che ci fossero. Intanto perché non sono gli appelli alla lotta né gli slogan roboanti a spingere la gente alla rivolta. Semmai sono le ingiustizie che possono dare origine a conflitti che a loro volta seguono percorsi dentro ai quali ci stanno pure le rivolte.

E qui l’ingiustizia c’è, ed è palese. Si pretende che gente che ha messo a rischio tutto quello che aveva pur di raggiungere le nostre città si faccia sbattere fuori senza dire «bah!». Oppure che si lasci cacciare chi si è fatto sfruttare per anni nei cantieri, nei campi, o nei retrobottega dei ristoranti alla moda. Oppure ancora chi è arrivato qui da bambino e non ha nessuno che lo aspetti nel paese dal quale partirono al tempo i suoi genitori.

E come se tutto questo non fosse sufficiente a generare conflitto, dentro ai Centri i senza-documenti vengono privati di tutto, ridotti a corpi che si può lasciar morire per mancanza di cure o per la disperazione, che si può perquotere, oppure che si può palpeggiare - quando questi corpi sono corpi di donna.

Se tutto questo è vero - e nei faldoni di questo processo troverete tutto quanto vi serve per verificarlo - il conflitto dentro ai Centri non solo è scontato, ma è l’unico strumento col quale i reclusi possono riaffermare la propria umanità che altrimenti è negata.

Ed è per questo che i reclusi non hanno certo dovuto aspettar noi, né nessun altro, per cominciare a lottare, per provare a scavalcarli quei muri, o a buttarli giù. E non si son fermati neanche adesso, con grande scorno di chi ci ha fatto arrestare con la speranza ridicola di riportar la pace là dove la pace non ci potrà mai essere.

Non c’è stato nessun bisogno di una “istigazione” esterna, e non sarebbe stato giusto che ci fosse. Già perché i percorsi di lotta debbono sapersi costruire autonomamente, debbono rispecchiare un accumulo di esperienze e contemporaneamente delle fratture di chi è dentro, debbono trovare i propri tempi e i propri modi. Non sarebbe stato giusto dire: «adesso si sciopera», oppure «domani bruciate almeno due materassi» - come sembra sostenere senza intelligenza l’accusa.

Quel che abbiamo sempre detto invece è: «noi ci siamo». Che vuol dire mettere a disposizione i propri strumenti di informazione e la propria rete di contatti, che vuol dire favorire i rapporti tra i vari Centri in lotta, che vuol dire mettersi in gioco per amplificare il più possibile le voci dei reclusi, che vuol dire affiancare le proprie iniziative a quelle dei Centri. Tutto questo può influenzare in modo determinante il corso degli eventi, ma parlarne come di una “istigazione a delinquere” è una minchioneria questurina quasi offensiva nei nostri confronti.

Se si deve proprio dirla tutta, per quanto possa sembrare paradossale, in questi anni sono stati i reclusi ad “istigare” noi, e lo hanno fatto con tutta semplicità, affidando a noi le loro storie perché le raccontassimo, organizzandosi clandestinamente per fare uscire le foto dei pestaggi e le riprese delle cariche, insegnandoci che si può salire su di un tetto ad urlare «libertà!» anche quando si sa che non si otterrà altro che bastonate. Le immagini agghiaccianti dei soldati che partono alla carica dentro alle gabbie del Cie di Gradisca sono immagini che ci obbligano a far qualcosa, perché mettono le nostre coscienze con le spalle al muro.

E allora il problema vero, in città, non è “chi istiga chi” ma chi non si lascia mai istigare, chi guarda e passa avanti come se nulla fosse.

Ma questa è un’altra storia.

(Quello qui sopra è il testo della dichiarazione letta da uno degli arrestati del 23 febbraio durante l’udienza del Tribunale della Libertà del 9 marzo scorso)
macerie @ Marzo 17, 2010


Ecco il bigliettino che ci è stato lanciato dai reclusi nascosto dentro ad una pallina da tennis...

Presidio itinerante antirazzista

Presidio antirazzista in piazza vittorio, striscioni e volantinaggio, gazebo e musica.
Poi mini-corteo tra i portici di via po, striscioni ben visibili sulla strada, ancora musica e diversi interventi col megafono.
Durante il presidio in piazza vittorio è transitato il corteo del popolo viola


Rivolto al corteo viola in transito un volantino distribuito:

NEI C.I.E. LA POLIZIA STUPRA E POI DEPORTA MOBILITIAMOCI CONTRO L’ESPULSIONE DI JOY!

Nel luglio 2009 Joy, una ragazza nigeriana, vittima di tratta, rinchiusa nel centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano, subisce un tentativo di stupro da parte dell'ispettore capo di polizia Vittorio Addesso. La sua determinazione e quella della sua compagna di stanza, Hellen, riescono ad allontanare l'uomo.

In agosto scoppia una rivolta nel CIE, a cui partecipano tutti i detenuti. Vengono arrestati nove uomini e cinque donne. Tra queste anche Joy ed Hellen. Durante il processo Joy con l’aiuto dei compagni di reclusione denuncia il tentato stupro subito, chiamando in causa un esponente della Croce Rossa di Milano come testimone, il quale però nega di avere visto il fatto.

Dopo 6 mesi di carcere Joy viene nottetempo riportata in un CIE, quello di Modena, e di qui il 15 marzo viene spostata a quello di Ponte Galeria a Roma, insieme a molte altre donne nigeriane tra cui Hellen. Il 16 marzo il console nigeriano entra nel CIE per identificare alcune delle detenute che arrivano dalla Nigeria: per loro si prepara la deportazione.

Già da giorni giravano voci riguardo alle pressioni da parte della questura di Milano perché Joy venisse espulsa. Pur di proteggere Vittorio Addesso, i suoi colleghi hanno agito nelle maniere più vili, come anche il 25 novembre scorso quando, manganelli alla mano, hanno più volte caricato un presidio di donne che volantinavano alla stazione Cadorna di Milano per denunciare che i CIE sono luoghi di tortura per tutti i reclusi, e che se i reclusi sono donne tortura vuole dire anche abusi sessuali da parte dei guardiani.

Oggi la questura spinge per l'espulsione di Joy e con lei si libera anche di quella fastidiosa denuncia che porterebbe alla luce una delle nefandezze che ogni giorno avvengono, con l'avallo e la complicità di polizia e Croce Rossa, in questi moderni lager per immigrati chiamati CIE.

La forza che hanno dimostrato Hellen e Joy fa paura perché è la forza che smaschera la verità di quello che accade dentro le mura di quei lager per migranti. Gli aguzzini che li controllano si adoperano per impedire che questo precedente apra un varco o una breccia in quelle mura.

Che nessuno/a ci venga più a dire che in Italia ci sono leggi contro la violenza sessuale e lo stalking e che è necessario denunciare. Chiunque ancora lo pensa, da oggi in poi si ricordi bene questo: le forze dell'ordine hanno licenza di stuprare, anche grazie alle coperture di cui godono (Croce Rossa in questo caso) e grazie a un apparato istituzionale connivente.

FACCIAMO PRESSIONI PER SCONGIURARE L’ESPULSIONE DI JOY! CONTATTA L’AMBASCIATA NIGERIANA A ROMA:

via Orazio 14 - Email: nigerian.rome@iol.it – Telefono 06.683931











Torino, 20 marzo, piazza Vittorio. Due blindati, qualche auto e un nugolo di digos erano il comitato d’accoglienza predisposto dalla questura per gli antirazzisti che si sono dati appuntamento per il punto info itinerante promosso dagli anarchici della FAI torinese per le vie del centro.

Un’occasione per raccontare a chi passava e, non di rado, si fermava la vicenda degli antirazzisti torinesi accusati di associazione a delinquere per aver contestato e contrastato attivamente le politiche razziste. Un grande striscione con la scritta “Ci chiamano delinquenti… siamo antirazzisti!”, accanto a “Né CIE, né frontiere. Ribellarsi e giusto” è stato appeso ai muri.

Al momento di partire per il giro in via Po è stato aperto uno striscione con la scritta “Solidali con Joy. Uno sbirro la stupra, lo Stato la deporta”. Joy è la ragazza nigeriana che vogliono espellere per far calare il sipario sul tentato stupro di cui è stata vittima nel CIE di Milano in agosto. Alcuni poliziotti nel leggere lo striscione hanno fatto commenti che la dicono lunga su questi tutori del disordine statale. Le donne che reggevano lo striscione hanno gridato forte “Contro il razzismo e la sua violenza, ora e sempre resistenza!”

Gli Ubac con la loro musica occitana hanno partecipato ad un lungo pomeriggio di informazione e lotta.

In via Po un gruppo è rimasto unito, altri si sono sparpagliati volantinando, parlando al megafono, discutendo con i passanti. Una passeggiata un po’ disordinata, cui hanno partecipato anche alcuni No Tav con le loro bandiere, mescolando le esperienze, in un percorso, che spesso in questi lunghi mesi vede, gli uni accanto agli altri quelli che resistono alla barbarie.

Negli interventi ampio spazio ha avuto l’inchiesta contro gli antirazzisti del PM Padalino, il racconto della vicenda di Joy, le storie dei braccianti ribelli di Rosarno, sfruttati, sparati, picchiati dai padroni degli agrumeti e poi deportati dalla polizia. Ma non solo. Proprio ieri un quotidiano cittadino narrava della Torino delle leggi razziali, dei tempi che gli studenti ebrei venivano cacciati dalle scuole. Tempi, che, ci dicono, non torneranno. Solo pochi vedono che il passato è tornato da un pezzo: le quote del 30% di stranieri nelle scuole, i bimbi dei “clandestini” esclusi dagli asili sono il segno di questo nostro presente.

Un presente di fronte al quale non si può tacere, perché il silenzio è complicità.

Contro il razzismo di Stato non basta la testimonianza, non basta l’indignazione. Bisogna mettersi in mezzo: contrastare retate e deportazioni, rifiutare ronde e militari in strada, sostenere chi lotta nei CIE, chi sciopera contro la schiavitù legale, chi cerca di scavalcare i muri e buttare giù le barriere.

Se un giorno qualcuno ci chiederà dov’eravamo quando deportavano la gente, quando davano la caccia agli schiavi nelle campagne, quando uomini e donne morivano in mare e nei cantieri, quando i caporali stringevano le catene al collo di qualcuno, quando un uomo in divisa stuprava una ragazza nel CIE, vorremmo poter rispondere che eravamo lì, con gli altri, a resistere alla barbarie. Anche se un giudice ci chiamerà delinquenti, perché sappiamo bene che i delinquenti, quelli veri, siedono sui banchi del governo e nei consigli di amministrazione delle aziende.

Se non ora quando? Se non io, chi per me?

Per info e contatti:

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venerdì 19 marzo 2010

Firenze - Udienza per associazione sovversiva

Ci siamo. Il 16 aprile prossimo, il gip michele barillaro deciderà se rinviare a giudizio 19 compagni dell'area anarchica fiorentina, accusati di una serie di piccoli reati (in particolare un'interruzione di pubblico servizio, l'occupazione del Panico anarchico di Piazza Ghiberti e alcuni scritte sui seggi delle primarie PD) tenuti insieme dal reato di associazione sovversiva con finalità di terrorismo ed eversione (il famigerato 270 bis). L'inchiesta ha preso le mosse dalla perquisizione e sgombero di Villa Panico (poi rioccupata) e dell'Asilo Occupato di via Bolognese, nel novembre 2007. Comandava le operazioni un certo Alfredo Pinto, allora capo della Digos e...coniugato con la PM Angela Pietroiusti, firmataria di questa e altre indagini contro anarchici (in particolare contro i compagni pisani di via del Cuore). Due novità di rilievo: il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Quattrocchi, affiancherà Angela Pietroiusti nella pubblica accusa (forse per sopperire alla sua nota incapacità); l'ex assessore di polizia Graziano Cioni (quello dell'ordinanza contro i lavavetri) si è costituito parte civile, irritato per il suo prestigio di tirannello di provincia, intaccato, a suo tempo, dalla rabbiosa ironia dei sovversivi. I giornali come al solito fanno la loro parte. Tempestivamente informati da giudici e sbirri, Quotidiano Nazionale e Repubblica hanno immediatamente riportato i deliri giudiziari della repressione, sotto il marchio infamante del "terrorismo". Come sempre, glielo rispediremo al mittente. Se pensano di pronunciare l'ultima parola su questa misera vicenda nei loro tribunali e dalle loro fetide colonne, si sbagliano di grosso. Diremo presto la nostra, con le parole e con i fatti.
anarchici e antiautoritari
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P.S.: Per una magggiore comprensione di questa vicenda leggi l'opuscolo:

Per farla finita con i fantasmi

Strategie repressive a Firenze e in toscana Appena due mesi fa, un violento attacco viene sferrato da polizia e magistratura contro le occupazioni e il movimento anarchico e libertario a Firenze: com'è ormai noto, Villa Panico e l'Asilo occupato sono stati sgomberati e perquisiti per 270 bis (associazione sovversiva con finalità di "terrorismo"). Nonostante la ferma risposta data dai compagni a questo attacco (il corteo conclusosi con l'occupazione dell'ex casa del popolo di S.Spirito, la rioccupazione di Villa Panico, la nascita e le attività del Laboratorio contro la repressione), i Repressori non sembrano avere la benchè minima intenzione di fermarsi, anzi. Il delirio securitario, divenuto ormai l'ultimo appiglio di una classe politica in stato di decomposizione irreversibile, esige dai biechi politicanti e dai loro servi di andare fino in fondo: non possono certo permettersi di capitolare di fronte ad una minoranza di ribelli che giorno dopo giorno ne denuncia le miserie e si oppone alla paranoia repressiva d'una democrazia totalitaria che sta portando "la guerra a casa nostra". Ci appare probabile che, superate le difficoltà create dalle lotte, le istituzioni politiche, giudiziarie e poliziesche si preparino ad un nuovo attacco, inserito nel piano di ristrutturazione repressiva in atto. Questo scritto vuole essere un contributo alla comprensione delle dinamiche repressive in corso a Firenze: un tentativo di battere sul tempo gli apparati di Stato, di stimolare la fantasia sulla base di elementi concretamente presenti per spingere ognuno, secondo i propri mezzi e le proprie prospettive, ad anticipare le mosse della repressione e prepararsi ad affrontarla. All’attività pratica contro la repressione realizzata a Firenze dai compagni nel mese di dicembre, dedicheremo un altro opuscolo di prossima pubblicazione.



IL PIANO DELLO SCERIFFO

Venerdì 25 gennaio (il giorno dopo la caduta del governo Prodi e prima della manifestazione in solidarietà ai processati del 13 maggio '99) i giornali, consuete grancasse del dominio, danno voce a quanto affrontato nel corso dell'ultimo Comitato per l'ordine e la sicurezza. Come tutti sanno, questa sorta di Gran Consiglio del Controllo Generalizzato si compone del prefetto Andrea De Martino, del sindaco Domenici, dei vertici di polizia e carabinieri e dell' Imperatore-assessore alla sicurezza Graziano Cioni, e si occupa di definire le linee-guida dell'intervento repressivo sul territorio. In questo caldo gennaio, questi gendarmi incravattati guidati dallo Sceriffo del neonato Partito Democratico decidono di movimentare un poco la stagione di piena crisi politica appena incominciata, con la caduta del governo e le crepe che si aprono all'interno della giunta. Quale migliore occasione per tirare fuori dal cassetto il disegno repressivo già preparato dallo Stato? Quale migliore occasione per dimostrare di essere finalmente degli uomini d'ordine, affidabili funzionari del sistema capitalistico che li foraggia? E se si va alle elezioni: quale migliore campagna elettorale se non una messe di sgomberi, arresti ed espulsioni di immigrati, specie se non si ha nient'altro da offrire? In una delle città-laboratorio della gabbia-sicurezza, la nuova parola d'ordine, per quanto non esplicitamente dichiarata, è "fare come a Bologna". I fantaccini locali vogliono posare a Cofferati, divenire autentici cavalieri di quel nuovo progressismo dal pugno di ferro nel guanto di velluto, per cui la legalità è di sinistra quanto il liberismo economico. Quindi annunciano un "piano" per gestire la "emergenza" delle occupazioni e la contestuale creazione di due “Centri di Accoglienza”. Nelle settimane successive gli altarini si scoprono: questi centri di accoglienza saranno dei Centri di Identificazione (CdI) ovvero dei campi di concentramento “di transito” per rifugiati e richiedenti asilo. Vale allora la pena ricordare che , in tutta Italia, i CDI, dove sono stati creati, sono stati trasformati in tempi più o meno lunghi in Centri di Permanenza Temporanea a pieno regime. Tutti i Centri di IIdentificazione attualmente esistenti nello stivale si trovano all’interno dei CPT. Quei famigerati CPT che molti (e noi siamo tra questi) non esitano a definire “lager”, poichè si tratta di prigioni dove degli individui vengono internati per il solo fatto di non avere i documenti in regola. Come di norma i vari quotidiani non si risparmiano nel supportare il nuovo piano dello sceriffo. Gli articoli si scagliano in particolare contro le occupazioni del Movimento di Lotta per la Casa, sull'onda delle lamentele dei residenti del quartiere di Firenze Nova contro l'ex CNR occupato da immigrati. Guarda caso, però, gli scribacchini non si dimenticano quasi mai di nominare gli anarchici. Anche gli spazi sociali antagonisti sembrano ricevere una certa attenzione. Il giorno dopo "La Repubblica" dedica un lungo articolo a Graziano Cioni e alla sua politica. Al solito, lo Sceriffo ci dice chi ha da lasciare la città entro il tramonto e chi deve, più semplicemente, rientrare un po' nei ranghi: si può andare incontro al bisogno abitativo, ma "i delinquenti vanno arrestati". Chi sono i delinquenti? Chi turba i sonni del Ranger? Chi deve dormire sonni cattivi al posto suo? E dopo il botta e risposta tra Cioni e Bargellini sulla questione, guarda caso alla fine dell'articolo vengono nominate le due occupazioni "anarchiche": il Panico di S.Salvi e la Riottosa Squat al Galluzzo. Un'ultima nota: Graziano Cioni e la sua corte dichiarano di voler agire prima di Pasqua, vista la necessità di rifare il trucco alla città in preparazione dell'arrivo dei danarosi turisti: niente da aggiungere, salvo che, sempre più spesso, questi burocrati ci tolgono le parole di bocca. Tanto la caccia al povero e al diverso non scandalizza più nessuno, e alla religione del denaro si sacrifica ormai tutto. Queste dichiarazioni meritano una riflessione. Cioni e la sua corte motivano gli sgomberi secondo la logica populista tipica del nostro tempo: rispondere alla "percezione di insicurezza" della "gente" con la repressione. Al bastone, però, non viene affiancata la carota, ma un altro bastone travestito da carota: i Centri di identificazione temporanea. Facciamo un passo indietro. La costruzione di un CPT, già allora voluta dalla Giunta e dalla Regione, venne bloccata nel 2000 da una grande manifestazione di massa trasversalmente partecipata dalle diverse anime del "movimento" fiorentino e toscano. Adesso l'ipotesi di due lager in città viene ventilata come il paracadute "umanitario" degli "inevitabili" sgomberi. E quali saranno le persone internate se non quelle che vivono nelle occupazioni da evacuare? Non sappiamo se questi lager verranno riempiti a breve o se per ora rappresentino "soltanto" una minaccia terroristica da agitare in faccia al Movimento di Lotta per la Casa per costringerlo a qualche capitolazione in più. Sappiamo che c'è chi non è disposto a capitolare; che c'è chi chiama galere le galere e le tratta per tali; e che (ce l'hanno insegnato gli arresti degli anarchici leccesi per la loro lotta contro il CPT locale) questa intolleranza non viene tollerata dal potere. Arretrare o sparire, ecco il diktat della repressione. Un segnale per alcuni, una minaccia per altri, un'intimidazione per tutti.

UN AFFARE DI FAMIGLIA

Il 29 novembre scorso, durante gli sgomberi a S.Salvi e in via Bolognese, vengono notificati 8 avvisi di garanzia a altrettanti compagni anarchici. Sette di questi frequentano Villa Panico, un'ottava persona fa riferimento al circolo anarchico pisano di Via del Cuore. Questa inchiesta mira a dimostrare la partecipazione di questi compagni a "uno specifico gruppo di affinità, ispirato all'ideologia anarco-insurrezionalista, con l'intento di realizzare, anche con l'uso di armi comuni da sparo, secondo un concreto e attuale programma insurrezionalista, "azioni dirette" violente, con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico, consistenti in più delitti di danneggiamento aggravato, interruzione di pubblico servizio, attentati contro i diritti politici dei cittadini, minacce aggravate e rapine di autofinanziamento". Per capire il senso di questa operazione dobbiamo andare un po' indietro nel tempo. Si comprenderà come questo teorema si collochi all'interno di un disegno voluto dalle alte sfere del potere per annientare la presenza anarchica in Toscana, e si appoggi sulle brame di carriera dei soliti servi prezzolati della magistratura e della polizia. A partire dal giugno 2004, i compagni anarchici pisani, dei quali alcuni del gruppo ecologista radicale "Il Silvestre", sono stati colpiti da ben due inchieste per associazione sovversiva: la prima (inchiesta COR) ha cercato di dimostrare la partecipazione degli anarchici pisani alle Cellule di Offensiva Rivoluzionaria, gruppo che ha rivendicato una serie di attentati per lo più incendiari contro politici e sindacalisti; la seconda (Inchiesta "Gruppi d'affinità"), scattata il 4 maggio 2006 con l'arresto di undici compagni, ruota principalmente attorno a due azioni: un fallito attentato all'esplosivo contro un traliccio dell'alta tensione (rivendicato da un comunicato anonimo come azione contro il ritorno del nucleare) e un grosso petardo contro l'agenzia di lavoro interinale Adecco (rimasta anonima e non rivendicata). Come spesso succede in questo tipo di inchieste, numerosi compagni hanno trascorso lunghi periodi (fino a due anni) in carcere e agli arresti domiciliari. Attualmente Daniele si trova in prigione in attesa di processo mentre Francesco, dopo due anni trascorsi in galera per la sua presunta partecipazione alle COR (dalla quale è stato prosciolto nel processo d'appello), è prigioniero a Sollicciano, accusato di una rapina all'ufficio postale di Stazzema (Lucca) per la quale è stato arrestato assieme a Daniele nel luglio scorso. Costantino, dopo un anno e mezzo di carcere, è stato di recente messo ai domiciliari. Altri compagni si trovano tutt'ora sottoposti a misure restrittive (obbligo di dimora, divieto di dimora a Pisa, firme in commissariato ecc.) Il filo che lega le inchieste "pisane" e l'inchiesta "fiorentina" appena nata è la procura di Firenze (competente in fatti di "terrorismo") ed un nome: Angela Pietroiusti, pubblico ministero di detta procura e accanita persecutrice di sovversivi. Già PM dell'inchiesta COR, Angela Pietroiusti viene bocciata dalla sentenza della Corte d'Appello di Firenze (maggio 2007) che manda assolta la quasi totalità degli imputati (anche se purtroppo per due di questi, Alessio e William , viene confermata l’ associazione sovversiva). Se già questa sentenza non fa proprio onore alla carriera di questa aspirante Torquemada, come se non bastasse le viene revocata la seconda inchiesta sugli anarchici pisani ("Gruppi d'affinità") poichè secondo i giudici istruttori di Firenze i fatti contestati non sono considerabili "terroristici" ma, tutt'al più, "eversivi": la competenza in materia passa quindi dalla Procura "antiterrorismo" di Firenze alla Procura di Pisa. Del tutto naturale, quindi, che Angela Pietroiusti cerchi di rilanciarsi accanendosi su altri anarchici. Quale migliore occasione dell'arresto di Daniele e Francesco per rapina? Gli altri reati contestati a questa presunta "associazione" sono infatti assai lievi: danneggiamento aggravato, interruzione di pubblico servizio...C'è bisogno di qualcosa di più per sbattere dentro questa gentaglia che non vuole saperne di lavorare, che occupa gli spazi per aprirli a nuovi complici, che vive nello spregio della legge, che turba la pace terrificante della città "sicura" senza chiedere permessi ed autorizzazioni...e che per di più, peggio ancora! non ha mai nascosto la propria amicizia, solidarietà e complicità con i "terroristi" del Silvestre, sostenendoli con numerose iniziative di propaganda, di appoggio e di disturbo; rivendicandoli come compagni dalla stessa parte della barricata, e sostenendo, per di più, che i veri terroristi sono coloro che costruiscono il proprio potere sul terrore dell'esclusione, della repressione, delle galere e delle guerre: il Capitale, lo Stato e tutti i loro servi. Nelle interessate fantasticherie dei servi(tori) dello Stato come Angela Pietroiusti, gli anarchici non sono degli individui che agiscono secondo liberi rapporti di affinità, da sperimentare e reinventare volta per volta; al contrario, essi costituiscono un'associazione che agisce secondo "un concreto e attuale programma"; le loro scelte, anche illegali, devono per forza rientrare in un disegno eversivo, in un "vincolo" di un qualche tipo, in una "cospirazione" e non essere una libera espressione delle loro individualità; una rapina è una rapina, ma se è fatta da anarchici diventa una "rapina d'autofinanziamento"... Non sappiamo se Daniele e Francesco hanno effettivamente allungato le mani sui soldi dei padroni, e neanche ci interessa saperlo. Sappiamo soltanto che se avessimo un "concreto e attuale programma" ci presenteremmo alle elezioni, anzichè sperimentare giorno per giorno le possibilità di una vita libera, che brucia ogni programma e ogni calcolo. L'Anarchia (la "nostra" anarchia, per carità) non ha bisogno di pianificare programmi; ha un patrimonio di idee e pratiche lungo secoli cui attingere, da reinventare volta volta in forma nuova. Questa ricchezza sconcerta sempre i Repressori di ogni tempo e luogo: è naturale, quindi, che questi ultimi si guardino allo specchio e vedano ovunque il fantasma della "trama", del "programma", in ultima istanza dell' "organizzazione". Già alla fine dell'Ottocento, quando in tutta Europa esplodeva la propaganda col fatto contro sbirri e teste coronate, la Magistratura inseguiva una fantomatica Centrale Anarchica Internazionale che non riusciva a rintracciare... Ogni anarchico, al contrario, compie in autonomia le proprie scelte di attacco e non chiede il permesso a niente e a nessuno, nè a Dio nè allo Stato, nè al "movimento" nè ai propri amici e compagni più intimi. Coscienti di questo, rivendichiamo Daniele e Francesco come compagni e ribadiamo la nostra complice solidarietà. Una solidarietà che costa, una solidarietà per cui si rischia la galera. Così lo scorso novembre la Digos fiorentina sgombera e perquisisce il nostro lussuoso palazzo occupato alla ricerca della pistola usata nella rapina e mai ritrovata, per poi andarsene con materiale cartaceo e informatico, mascherine-stencil per fare le scritte e chiodi da cemento fatti passare per bossoli. Villa Panico viene sgomberata di loro iniziativa, senza ordinanza del giudice. Le operazioni sono guidate da Alfredo Pinto, nuovo capetto della polizia politica locale, giunto a Firenze dalla Direzione Investigativa Antimafia di Torino e già distintosi per alcune gratuite perquisizioni nelle case del Movimento di Lotta per la Casa a caccia di immigrati senza documenti. E sapete chi è questa specie di piccolo Cofferati della Questura? Nè più nè meno che il marito di Angela Pietroiusti! A questo punto il cerchio si chiude. In una Toscana da sempre al centro delle attenzioni del ministero degli Interni, perennemente citata nei rapporti sullo stato della sicurezza del Sisde, lo Stato chiede uno sforzo in più per estirpare la "malerba" (questa perla la dobbiamo a Giuliano Amato in persona). L'Imperatore Cioni e la cricca del neonato PD ci mettono del loro, tuonano contro le occupazioni e contro non meglio identificati "delinquenti". Poliziotti e magistrati rampanti si fanno avanti, attratti come lupi dalla possibilità d'una carriera veloce, e Alfredo Pinto arriva da Torino in soccorso della moglie che vede la propria carriera vacillare. Sgomberi e perquisizioni vengono quindi organizzati come un affare di famiglia: telefoni sotto controllo, compagni pedinati e la fantasia fa il resto. I Silvestri sono "terroristi", quindi i loro amici sono "terroristi": quindi il Panico è sede di un'associazione sovversiva. Chi osa frequentare certa gente deve capire cosa rischia: la perquisizione viene estesa all'Asilo. Cosa si prepara ancora nel talamo nuziale dei coniugi Pinto-Pietroiusti? Cosa gli viene richiesto dalle stanze della politica, da Roma a Palazzo Vecchio? Per ora sappiamo che un compagno di Pisa, principale referente nazionale della campagna contro Benetton e la repressione del popolo Mapuche in Patagonia, è stato perquisito dalla Digos nelle scorse settimane per una vecchia inchiesta già archiviata nel 2001 e ora riaperta; che sei persone (tra le quali alcuni anarchici, di Via del Cuore e non) sono state perquisite pochi giorni dopo per associazione sovversiva e tentato omicidio, in relazione ad un attentato incruento contro la Folgore di Livorno rivendicato da marxisti; che nel frattempo l'inchiesta sulla rapina di Stazzema è stata spostata dalla Procura di Lucca a quella "antiterrorismo" di Firenze; e che Daniele, uno dei due arrestati per la rapina, subisce una sistematica censura sulla posta e ripetute pressioni da parte della Digos, che continua a vessarlo in carcere... Nel frattempo, nella città "Culla del Rinascimento" i fascisti picchiano gli studenti medi, gli sbirri distribuiscono sempre più denunce, la magistratura condanna tredici antagonisti a sette anni di carcere per essere stati caricati a freddo dalla polizia durante una manifestazione contro l'aggressione della NATO alla Jugoslavia, nel 1999... Casuali coincidenze?

IL GOLPE NON CI SARA', PERCHE' C'E' GIA' STATO

Perchè è oramai un fatto che attraverso l'uso di una propaganda sempre più martellante, che manipola il presente e riscrive il passato, si è innescata una deriva culturale tesa a imporre l'obbedienza e a squalificare ogni insubordinazione. Ed ecco le sentenze contro i ribelli di Genova e di Firenze e le pesanti richieste di condanna contro la Rete del Sud Ribelle. Ecco gli anarchici bolognesi incarcerati da mesi per essersi opposti alla polizia mentre tentava di psichiatrizzare una ragazza in piazza Verdi. Ecco i loro amici incarcerati e condannati con pene fino a dieci mesi per avere fatto delle scritte in loro solidarietà ed avere imbrattato un bancomat e una macelleria. Ecco il teorema del 12 febbraio contro le cosiddette "nuove BR" e le denunce (tra le quali la folgorante "apologia di terrorismo") per chi ha manifestato all'Aquila contro la ferocia dell'isolamento carcerario. Ecco Michele Fabiani, anarchico di Spoleto in regime carcerario speciale per una montatura del ROS di Ganzer, costata altre quattro incarcerazioni ad altrettante persone (di cui tre attualmente ai domiciliari). Ecco i COBAS perquisiti per eversione sulla base di un volantino... Sembrerebbe l'apocalisse di ogni tensione critica verso la società del Capitale, eppure... Eppure il re non è mai stato così nudo. I paladini dello Stato, i "difensori della democrazia" difendono una società al collasso, che non sa produrre altro che guerre, catastrofi ecologiche e precarietà forzata. Una società che schiera l'esercito a difesa della spazzatura che la sommerge. Che si difende dalle proprie contraddizioni annullando ogni umanità e gridando al linciaggio del nemico esterno e interno. Una società che vive, in ultima istanza, della guerra permanente, che aprendo le frontiere all'economia e chiudendole agli esseri umani trasforma il "dentro" e il "fuori" in un unico fronte di guerra... In questo contesto, l'intervento degli anarchici e dei libertari appare tutt'altro che "impossibile". Il grido degli amanti della libertà va a spezzare un blocco sociale che, nella reale insicurezza generalizzata (quella delle morti sul lavoro, dell'avvelenamento industriale, dello sfascio ecologico) straparla d'una pretesa "sicurezza" poichè non ha nient'altro da offrire e ha tutto da saccheggiare. Un monolite repressivo che non vuole essere giudicato in base ai propri risultati (poichè questi si riducono sempre alla miseria e alla morte) ma unicamente in base ai propri Nemici. Bene: i Nemici siamo noi. Gli individui di ogni colore che affollano questo ectoplasma di cemento che si chiama Civiltà. Il delirio secuitario non tollera alcuna "clandestinità" e dissemina le città di telecamere e guardie con il pretesto che gli onesti non hanno nulla da nascondere; chi non vuole essere scrutatato è pericoloso, dunque deve esserlo, quindi è un potenziale Nemico. Se da sempre l'autentico terrorista è lo Stato, prima veniva considerato "terrorista" chi lo combatteva da una posizione di "clandestinità". Adesso il rifiuto stesso del controllo denuncia, agli occhi dei Repressori, la volontà di sottrarsi a una pretesa "trasparenza". Così, nel bispensiero orwelliano imposto ovunque dal totalitarismo democratico, l'aperta contrapposizione al dominio diviene, in virtù di uno strabiliante rovesciamento logico, una forma di "clandestinità". Chi sciopera al di fuori delle concertazioni sindacali è un terrorista, chi si scontra con la polizia è un terrorista, chi lotta contro le nocività è un terrorista. Terroristi nei centri sociali, negli stadi e persino in televisione (vi ricordate della battuta del comico Andrea Rivera sulla Chiesa cattolica, che gli costò questa accusa da parte dell'Osservatore Romano?) Un momento. Se terroristi sono (potenzialmente) tutti, Terrorista è, in fondo, nessuno. La massima di Goebbels, ministro nazista del Terzo Reich per il quale una menzogna ripetuta all'infinito diviene verità, non è mai stata tanto attuale. Applicata costantemente dai mezzi di (dis)informazione, si avvicina giorno dopo giorno alla propria saturazione e rivela la propria falsità. Ripetendo la stessa frase all'infinito, la lingua si impappina fino a produrre un balbettio inarticolato. Parlare di "delirio" sulla sicurezza non è semplice metafora, ma indica un fatto reale. In questo contesto, svelare le menzogne dei Repressori diviene, almeno di fronte a chi non ha gli occhi completamente offuscati dai fumi della propaganda, relativamente "facile". Lo strumento della contro-informazione permette di sgombrare il campo dai fantasmi? Noi crediamo di sì. Storicamente, fare contro-informazione significa due cose: diffondere informazioni che il potere di proposito tace e destrutturare le menzogne che esso fa circolare. Rappresentarsi per ciò che si è, con la totalità dei propri contenuti, è la miglior forma di contro-informazione: è strapparsi con la forza dei propri movimenti l'abitino che ci viene cucito addosso dai servi dello Stato. Sempre che non si pretenda di poterlo fare solo con le parole, ma che si rilanci nei fatti la propria Idealità. Solo una lotta costante contro ogni forma di repressione (da quella "politica" a quella generalizzata, che trasforma il mondo in una galera), fatta secondo il metodo dell'orizzontalità, dell'autogestione e della libertà; solo questa lotta può, giorno per giorno, renderci l'aria. Denunciare l'oppressione quotidiana e manifestare solidarietà nei fatti a chi la subisce (che sia un compagno, un rom, un valsusino in lotta o un punkabbestia) significa intaccare nei fatti l'isolamento che costruisce i mostri, che porta gli individui ad aver paura di altri individui. Che la solidarietà pratica, insomma, dissolva questo mondo di fantasmi. Che aiuti gli oppressi a guardarsi di nuovo in faccia, a parlarsi, a darsi la mano. Senza, per questo, rinunciare alla propria differenza, ma mettendola in gioco tra le altre diversità. Se oramai la repressione sociale somiglia sempre di più a un unico blocco, non è mai stato così vero che intaccare un filone fa tremare lun'intera montagna.
Villa Panico, febbraio 2008


Opuscolo scaricabile qui!

giovedì 18 marzo 2010

[Torino] FESTA ANTI-ELETTORALE


20.03.2010
BAROCCHIO SQUAT FESTA ANTIELETTORALE

Si sballa toda la noche con i migliori dj selezionati direttamente da COTASSO e BRESSOTA!!!!
xpecial guest DON RINO CHIAPPA il padrone indiscusso dell'augusta nonchè nostro padrino!!!
solo bellavita il bar sei tu: niente clienti solo cazzi ratzi mazzi e intrallazzi!!!!
cazzi e ratzi





mercoledì 17 marzo 2010

Vogliono espellere Joy...

Questa mattina 16 Marzo 2010 Joy è stata trasferita dal Cie di Modena a quello di Ponte Galeria. Sappiamo bene cosa significa questo: che entro un paio di giorni la vogliono espellere.
Pare che proprio ieri a Ponte Galeria sia entrato qualcuno dell'ambasciata nigeriana per fare i riconoscimenti di una decina di nigeriane, azione che prelude sempre all'espulsione a brevissimo termine.
Dunque le voci che giravano riguardo alle pressioni della questura di Milano perché Joy venisse espulsa - nonostante avesse intrapreso un percorso per ottenere l'articolo 18 come vittima di tratta - sono confermate.
Non è bastato alla questura di Milano 'far sparire', nella notte fra l'11 e il 12 febbraio, le cinque ragazze dalle carceri in cui erano rinchiuse per riportarle nei Cie. Pur di proteggere Vittorio Addesso, i suoi colleghi sono disposti ad agire nelle maniere più vili.
La storia di Joy ci dimostra come gli apparati repressivi e di controllo dello Stato esigano soprattutto che i ricatti sessuali che ogni donna e trans subisce dentro i Cie rimangano taciuti.
La forza che hanno dimostrato Hellen e Joy fa paura, perché è la forza che smaschera la verità di quello che accade dentro le mura di quei lager per migranti. Gli aguzzini che li controllano stanno facendo di tutto per impedire che questo precedente apra un varco o una breccia in quelle mura.
E che nessuno/a ci venga più a dire che in Italia ci sono leggi contro la violenza sessuale e lo stalking e che è necessario denunciare. Chiunque, da oggi in poi, ancora lo pensa si ricordi bene questo: le forze dell'ordine hanno licenza di stuprare anche grazie alle coperture di cui godono e di un apparato istituzionale connivente.



Ci troverete dappertutto, più che mai inferocite e schifate dalla vostra miseria e dalla vostra viltà!

NESSUNA PACE PER CHI STUPRA E MOLESTA LE DONNE, TANTO PIU' SE LO FA FORTE DELLA DIVISA CHE INDOSSA E DELLE CONNIVENZE DI CUI GODE!!!

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Per impedire la deportazione di Joy lanciamo un presidio mercoledi 17 alle ore 17 sotto le Due Torri a Bologna.
Per ascoltare l'intervista a Joy: radiocane

Anche a Milano iniziativa per Joy:
mercoledì 17/3/2010 ore 18, volantinaggio in piazzale cadorna davanti alla stazione nord.... Il silenzio e l'inedia sono complicità, agire non significa pulirsi la coscienza ma rompere l'isolamento...
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LA POLIZIA STUPRA... LA QUESTURA DEPORTA!!



Luglio 2009: Joy, una ragazza nigeriana rinchiusa nel centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano, subisce un tentativo di stupro da parte dell'ispettore capo di polizia Vittorio Addesso.
La sua determinazione e quella della sua compagna di stanza, Hellen, riescono ad allontanare l'uomo.

Agosto: scoppia una rivolta nel CIE, a cui partecipano tutti i detenuti. Vengono arrestati nove uomini e cinque donne. Tra queste anche Joy ed Hellen, dopo essere state umiliate e picchiate dal solerte aguzzino e stupratore. Addesso dopo sei mesi di carcere, e la deposizione della denuncia per tentato stupro da parte di Joy, tutte le ragazze vengono rinchiuse un'altra volta in un CIE, in attesa del rimpatrio coatto verso i paesi d'origine.

Il 15 marzo Joy è stata trasferita dal CIE di Modena a quello di Ponte Galeria a Roma, insieme a molte altre donne nigeriane. Ieri il console nigeriano è entrato nel CIE per identificare una decina di ragazze. Sappiamo bene cosa significa questo: l'espulsione a brevissimo termine. Domani tornerà per finire il loro lavoro mercenario, identificazione e espulsione in cambio di soldi.
Entro un paio di giorni le vogliono espellere tutte: una vera e propria deportazione di massa.

Già da giorni giravano voci riguardo alle pressioni da parte della questura di Milano perché Joy venisse espulsa. Pur di proteggere Vittorio Addesso, i suoi colleghi sono disposti ad agire nelle maniere più vili.

Come il 25 novembre scorso quando, manganelli alla mano, hanno più volte caricato un presidio di donne che volantinavano alla stazione Cadorna di Milano per denunciare che i CIE sono luoghi di tortura per tutti i reclusi, e che se i reclusi sono donne tortura vuole dire anche abusi sessuali da parte dei guardiani.

O come quando, nella notte fra l'11 e il 12 febbraio, la questura ha deciso di far “sparire” le cinque ragazze dalle carceri in cui erano rinchiuse per riportarle nei CIE, solo per non far loro incontrare i numerosi solidali che già dalla mattina attendevano la loro scarcerazione.

Oggi la questura spinge per l'espulsione di Joy e con lei si libera anche di quella fastidiosa denuncia che porterebbe alla luce tutte le nefandezze che ogni giorno avvengono, con l'avallo e la complicità di polizia e croce rossa, in questi moderni lager per immigrati chiamati CIE.

La storia di joy ci dimostra come gli apparati repressivi e di controllo dello stato esigano soprattutto che i ricatti sessuali che ogni donna e trans subisce dentro i CIE rimangano taciuti.
La forza che hanno dimostrato Hellen e Joy fa paura, perché è la forza che smaschera la verità di quello che accade dentro le mura di quei lager per migranti. Gli aguzzini che li controllano stanno facendo di tutto per impedire che questo precedente apra un varco o una breccia in quelle mura.

Che nessuno/a ci venga più a dire che in Italia ci sono leggi contro la violenza sessuale e lo stalking e che è necessario denunciare. Chiunque ancora lo pensa, da oggi in poi si ricordi bene questo: le forze dell'ordine hanno licenza di stuprare, anche grazie alle coperture di cui godono e grazie a un apparato istituzionale connivente.

I cie sono luoghi di tortura fisica e psicologica per tutti i reclusi: le persone vengono picchiate, costrette a prendere psicofarmaci, private della loro libertà solo perchè non provviste di un regolare pezzo di carta chiamato permesso di soggiorno; e dove le donne subiscono continue molestie sessuali fatte di battute sessiste, sguardi obliqui delle guardie uomini, fino ai veri e propri tentativi di stupro.

Nessuna pace per chi stupra e molesta le donne e con chi gestisce questi CIE, tanto più se lo fa forte della divisa che indossa e delle connivenze di cui gode!!!

La deportazione di Joy è prevista per domani! 18 marzo 2010

Abbiamo appena saputo da Joy che un funzionario dell'ambasciata è andato poco fa nel Cie di Ponte Galeria per identificarla.

Domani è previsto un volo che deporterà lei e altre/i nigeriane/i.

Fermiamo la macchina delle espulsioni!

Ambasciata nigeriana - Roma - via Orazio 14
Tel. 066896231 - Fax. 06/6832528
nigerian.rome@iol.it
www.nigerian.it

Ancora proteste e rivolte nei Cie, dall'Italia alla Spagna

Gradisca, 14 marzo:
Pomeriggio di tensione nel Cie di Gradisca, dove i reclusi sono stati fatti rimanere tutto il pomeriggio chiusi nelle celle, senza una spiegazione. Dopo un paio d’ora hanno cominciato una protesta, culminata con il rifiuto della cena - che gli operatori pretendevano di passar loro da sotto le porte «come fossimo dei cani». Scatta subito la ritorsione, con una decisa perquisizione, e poi ancora proteste. Solo intorno alle nove di sera la situazione si è calmata: «ci vediamo domani», hanno detto i reclusi alle guardie.
A domani
.
(da Macerie)

Ponte Galeria, 14 marzo:
I/le reclus* riferiscono di essere in sciopero della fame.
Seguiranno aggiornamenti riguardo la protesta e l'adesione a questa.
(da indymedia-roma)

Aluche (Madrid):
Sommossa e principio d’incendio nel centro di detenzione (12 marzo 2010)
Una sommossa è scoppiata nel Cie [Centro de Internamiento de Extranjeros, nella foto] di Madrid all’inizio della [scorsa] settimana. I reclusi hanno appiccato il fuoco in diverse stanze. Dalla strada si sentivano le urla dei detenuti “Al fuoco!”, “Raccontate quello che succede qui dentro!”, mentre gli allarmi antincendio non smettevano di suonare e i reclusi battevano sulle finestre.
“Sono bruciati dei materassi, carta e altre cose. Non ne posso più. I poliziotti ci hanno picchiati, ma io sto bene”, racconta un recluso. Secondo i parenti, i detenuti faranno un altro sciopero della fame per protestare contro “il trattamento umiliante, razzista, vessatorio che ricevono quotidianamente da tre anni. Un trattamento che infrange tutti i diritti”.
“Io sono razzista e voglio rispedirti al tuo cazzo di paese, bastardo”, è ciò che ha detto un poliziotto a un detenuto angolano prima di prenderlo a calci in pancia e mettergli la camicia di forza perché rifiutava di imbarcarsi. Il detenuto è stato riportato al centro in stato di semi-incoscienza. Qualche ora dopo è stato portato in ospedale – per di più era già gravemente ammalato.
Da questa vicenda è partita la rivolta.
Intanto si è saputo che il mese scorso c’erano state altre proteste: rivolte collettive, fronteggiamenti con i poliziotti (di cui molti sono stati feriti).
Da qualche settimana La Croce Rossa è entrata nel Cie di Madrid con una sovvenzione di 200mila euro da parte del ministero dell’interno.

Libertà di circolazione e di permanenza!
(da indymedia-nantes)
fonte
noinonsiamocomplici


Alcune foto del presidio al CIE di ponte Galeria tenutosi il 13/03/2010









Torino: carcere Le Vallette... Cronache dalla Repressione!


Ordine pubblico

«Oh, tutto bene?»
«Sì, sì, tutto bene…»
Ogni volta che entro dentro al bagno, e ci entro portandomi un bel libro appresso, non mi riesce di arrivare in capo alla seconda pagina senza che il piantone che mi piantona non dia segni di agitazione. Sento che si alza e che passeggia, che sporge il viso tra le sbarre tentando di indovinare movimenti dietro la fessura della porta della latrina; poi, immancabilmente, mi chiama per assicurarsi che io sia vivo.
E già, perché nonostante me ne stia sempre tranquillo e di buon umore, ridendo addirittura ad alta voce nel leggere le lettere dei miei compagni di fuori; nonostante non abbia pensieri di morte né di giorno né di notte (principale preoccupazione della lugubre psichiatra che si aggira qui in sezione); nonostante mangi con appetito, e che sia pure un po’ ingrassato; nonostante non dia segno di alcuna sofferenza, sono stato sottoposto - io e i miei compagni con me - al regime carcerario che si applica agli aspiranti suicidi e agli autolesionisti incorreggibili. Regime fastidioso per me (niente lenzuola, per esempio, né buio la notte, né vestiti in cella oltre a quelli che indosso) e dispendioso per l’amministazione, che deve dedicare un carceriere intero solo a me, giorno e notte.
«È che ci è stato chiesto,» dice il direttore mirando col dito verso l’alto, «ci è stato chiesto che non si ripetano i fatti di docici anni fa.» E poi comincia un breve discorso sull’importanza della vita umana, «di tutte le vite umane». Peccato che un qualsiasi detenuto che entri qui dentro per truffa, o spaccio, o perché senza documenti, e che dimostri pure una allegria e una noncuranza ben minore delle nostre non “godrebbe” certo di tutte le fastidiose attenzioni delle quali godiamo noi. Già, perché non è vero che le vite qui dentro sono tutte «egualmente importanti», come dice il direttore. Le nostre gli sono più preziose, perché oltre ad essere vite sono una questione di ordine pubblico in città - come dodici anni fa, per l’appunto. Quelle degli altri no.


(Le Vallette, 4 marzo 2019)
macerie @ Marzo 15, 2010


Resistenze


La guardia mi consiglia di lasciar la mia roba nel corridoio: «Qua dentro, sa com’è…». Poi apre il blindato e mi spinge dentro, e io saltello attento a non pestare i corpi distesi. La cella è lunga quattro passi, e larga cinque. Compreso me, dentro siamo in dodici: quattro se ne stanno allungati sul gradino di cemento che rasenta due dei muri, e gli altri per terra. Venti coperte per dodici persone, per cui c’è chi ha il dubbio se utilizzare quella in più come cuscino oppure per coprirsi e chi non ha diritto nemmeno a questo dilemma.
Mi guardo intorno. Uno di noi è qui da ieri mattina, ed ancora aspetta di vedere il giudice ed avere notizie dei suoi. È vestito da stradino ed è in Italia da vent’anni, e mi racconta che è lì per aver difeso con troppa veemenza se stesso, sua moglie e i suoi figli dallo sfratto. Altri due, con i volti scavati di vecchi, sono stati ammanettati a sorpresa nella questura di corso Verona, dove erano entrati a chieder notizie del proprio permesso di soggiorno. A far loro lo scherzo, neanche a dirlo, la solita Rosanna Lavezzaro. Un altro racconta del ristorante dove ogni tanto lavora e per un attimo la conversazione si fa animata: tutti conoscono quell’angolo di Corso Giulio Cesare, giusto dietro corso Novara. È come se l’agente si portasse su e giù dall’ufficio matricola alla cella ogni volta un pezzetto di città, da sbatter per terra e comprimere ed aggrovigliare in coperte puzzolenti. Ciascuno con la sua incertezza per il futuro, e la sua incredulità.
Poi uno da terra si alza, tira fuori di non so dove un piccolo asciugamano, lo mette per terra ritagliandosi uno spazio tra ginocchi e schiene e su quell’asciugamano rosa si mette a pregare. Silenzioso, ma alzandosi ed abbassandosi e mettendo la fronte a terra e facendo tutti i segni che bisogna fare perché sia una preghiera valida e ben fatta. Intanto che lo guardo mi sforzo di formulare dentro di me un discorso sull’oppressione religiosa e sulla condizione delle donne nei paesi più bigotti e su tutte quelle altre cose vere e importanti che bisogna sempre tenere a mente. Ci provo, ma non ci riesco. Perché quegli inchini e quei gesti, fatti in quella maniera e lì dentro, non mi sembrano affatto un atto di sottomissione, bensì di resistenza. Un modo per dire «sono un uomo», quando chi ha tutta la forza dalla sua ti sta dicendo «sei una bestia», e lo fa chiudendoti in una stalla e strattonandoti e buttandoti a terra. In fondo son gli uomini che pregano, e le bestie no.
E noi da uomini resistiamo.

(Le Vallette, 24 febbraio)
macerie @ Marzo 15, 2010

martedì 16 marzo 2010

Aggiornamento antirazzisti scarcerati

venerdi 12 marzo è arrivato l'esito della camera di consiglio dei giudici del tribunale del riesame Gianni Macchioni, Monica Supertino e Daniela Rispoli rispetto ai 7 antirazzisti torinesi che 17 giorni prima erano stati colpiti da misure restrittive su iniziativa dal santo inquisitore Padalino

i giudici hanno annullato l'assurda accusa di associazione a delinquere per i 7, ordinando la scarcerazione e le seguenti misure:

- Andrea, Fabio e Marco obbligo di firma quotidiano

- Paolo obbligo di firma trisettimanale

- Luca obbligo di dimora nel comune di Torino

- Maja e Massimo nessuna restrizione

In giornata tutti i compagni hanno ricevuto notifica del provvedimento e ora sono liberi.

Luca è uscito dalle Vallette verso le 22, portando i segni di un pestaggio subito proprio poco prima da parte di alcuni secondini

Di seguito un report dell'udienza del riesame dello scorso martedi 9 marzo, con l'articolata e appassionata discussione da parte della difesa che ha smontato il teorema accusatorio ostinatamente portato avanti dai PM. Si avvisa che il resoconto non è completo, potrebbe contenere errori e non corrisponde alle esatte parole pronunciate in aula. Comunque può dare un'idea di com'è andata.

RIASSUNTO DEL GIUDICE
L'udienza si apre con il riassunto da parte del giudice relatore, la quale nel riassumere il contenuto dell'ordinanza che ha portato agli arresti del 23 febbraio e la situazione carceraria dei ricorrenti rivela una cosa che non sapevamo, e cioè che Padalino aveva chiesto anche il sequestro preventivo dei locali e la sospensione della frequenza di Radio Blackout, cosa che la GIP Gai ha negato autorizzando la perquisizione.

DICHIARAZIONE DI ANDREA
Di fronte alla richiesta del giudice se vi sono dichiarazioni da parte degli inquisiti, Andrea informa di voler consegnare una memoria scritta e ne riassume il contenuto.
La memoria riguarda in particolare una delle accuse che ricorrono nell'ordinanza (un'ordinanza i cui contenuti, sottolinea, potrebbero ben essere utilizzati per un processo contro i CIE), e cioè quella di istigazione a delinquere, che si riferisce soprattutto al fatto che gli inquisiti istigherebbero gli immigrati reclusi nei CIE a ribellarsi e a distruggere le strutture.
Premettendo il paradosso per cui in questa società il definirsi anarchico da un certo punto di vista può automaticamente significare istigazione a delinquere, Andrea afferma poi che la ribellione degli immigrati nei CIE c'è sempre stata da quando ci sono queste strutture, ed è oggettivamente determinata dalla privazione della libertà e dalle sofferenze cui sono costretti. Il fatto di ribellarsi è una naturale manifestazione del loro essere uomini.
Lui e i suoi compagni all'esterno non aggiungono nulla a questa ribellione, se non il fatto di far sentire ai reclusi che non sono soli.

PRESENTAZIONE MATERIALE
-L'avvocato Novaro presenta ai giudici tre memorie scritte, di cui lui si appresta a discutere le prime due mentre la terza verrà discussa dall'avvocato Lea Fattizzo.
Inoltre vengono forniti ai giudici dei cd con il materiale pubblicato nei mesi di settembre e ottobre 2009 sul blog Macerie, gestito da alcuni degli inquisiti, e alcuni video significativi di avvenimenti all'interno dei CIE, in particolare il brutale pestaggio della polizia nel CIE di Gradisca del 21 settembre 2009, evento documentato nei giorni successivi solo grazie al lavoro dei redattori di Macerie.
Vengono poi consegnate due lettere: una di Gabriele Del Grande, curatore dell'autorevole osservatorio on-line sull'immigrazione "Fortress Europe", e una di Marco Rovelli, autore del libro "Lager italiani", sui CIE appunto. Entrambi esprimono apprezzamento per il blog Macerie annoverandolo tra le loro fonti di informazione.
Infine, un breve video sulla protesta al Museo Egizio del 29 giugno 2008 (alcuni giorni dopo l'omicidio di un ragazzo egiziano da parte del suo datore di lavoro) in cui si vede uno scambio di spinte di entità ridicola tra Luca e un tipo che sta sulla porta del museo (è uno degli episodi di "violenza" riportati nell'ordinanza).
-La PM Pedrotta presenta le foto di alcuni caschi trovati in casa di Fabio durante la perquisizione e dello striscione recante la scritta FUOCO AI C.I.E. comparso fuori dal balcone della casa dove Marco era agli arresti domiciliari il giorno dello sciopero degli immigrati. Presenta inoltre (e ne parlerà poi) un nuovo fascicolo di accuse relative ai mesi di novembre-dicembre 2009 (l'ordinanza del 23 febbraio contiene fatti compresi tra il maggio 2008 e l'8 ottobre 2009).

DISCUSSIONE DELLA DIFESA
L'avvocato Novaro discute le prime due memorie, partendo dal materiale su quella che è la drammatica situazione nei CIE in Italia e sull'attività delle cosiddette minoranze etiche che si battono contro queste vergognose istituzioni. Fa riferimento al diritto costituzionale alla libera associazione ed opinione e anche all'opinione di diversi studiosi democratici (Norberto Bobbio ad esempio) sulla "necessità" del conflitto sociale e sul diritto di ribellarsi come elemento di una dialettica democratica.
In questo contesto caratterizzato da fatti come le morti dei migranti in mare, i respingimenti al confine con l'Europa, i pestaggi e le sofferenze all'interno dei CIE, gli inquisiti svolgono la loro attività di cassa di amplificazione e di solidarietà.
Ha ragione Andrea ad argomentare che non esiste l'istigazione a delinquere, nè esiste l'associazione a delinquere ma vi sono una serie di fatti, per lo più simbolici e dimostrativi, messi in atto da più persone, anche in concorso, in maniera non gerarchica (contrariamente a quanto dice l'ordinanza che vuole individuare in Andrea e Fabio i "capi del sodalizio") nel corso di attività che durano ben oltre l'attività dell'Assemblea Antirazzista, organismo che si scioglie nel giugno 2009. Inoltre il numero degli indagati non è chiaro: oltre ai 7 colpiti da misure cautelari sono indicate altre 6 persone, poi ne compaiono altre 7 nella richiesta di proroga delle indagini (e arriviamo a 20), contando però il numero complessivo dei segnalati si arriva a 69, a riprova che gli atti contestati sono compiuti da una notevole varietà di persone.
Viene definito ridicolo il fatto che l'accusa di associazione venga costruita anche facendo riferimento a un post pubblicato sul sito indymedia che, come riportato nei commenti allo stesso post, potrebbe essere benissimo stato scritto da un poliziotto.
Negli episodi specifici (irruzioni alla Croce Rossa, al Museo Egizio, al consolato greco, alla CGIL, protesta sotto la casa del colonnello della Croce Rossa Antonio Baldacci e altro ancora) si riscontra un livello di violenza è "da scuola elementare".
L'ordinanza dice che i mezzi individuati come propri dell'associazione sono megafono, vernice (sic!) e caschi da moto secondo quanto aggiunto dalla PM poco prima; poi vi è l'utilizzo di radio blackout e del suo famigerato servizio "cisti viaggia informato", servizio che tutt'al più può aiutare gli extracomunitari a non incappare nelle retate ma che però è promosso da tutta la radio e non dagli accusati.
In merito a certe frasi e slogan roboanti usati nelle trasmissioni e altrove ("bisogna distruggere le carceri", "fuoco ai CIE" etc.), che significherebbero istigazione a delinquere, a parte che per ognuna andrebbe evidenziato il contesto si può dire che esse facciano parte del linguaggio politico, dove a volte le si "spara grosse". Anche Erri De Luca ha detto che bisogna distruggere i CIE ma nessuno si sogna di accusarlo di istigazione a delinquere.
Altro strumento delinquenziale sarebbe poi il sito Macerie, che però come si può vedere e apprezzare dal materiale pubblicato è essenzialmente un sito di controinformazione.
Viene poi sottolineato l'accanimento della procura di Torino e in particolare della polizia nei confronti di alcuni degli imputati. Per Andrea e Fabio infatti recentemente erano stati chiesti e parzialmente ottenuti 4 anni di sorveglianza speciale più il divieto di dimora a Torino, provvedimento poi revocato in un altro giudizio nel dicembre 2009. Fabio è stato arrestato due volte per resistenza a pubblico ufficiale e poi assolto. Su alcuni imputati era stata aperta e poi archiviata pochi mesi prima un'inchiesta per 270bis, sostituita poco tempo dopo da questa per associazione a delinquere.
A tutte queste forzature viene aggiunto il fatto che i PM nel nuovo fascicolo di accuse basandosi su un'intercettazione in cui viene usata un'espressione di uso ormai comune come "gruppi di affinità" tirano fuori strumentalmente gli attacchi con esplosivo al CIE di Gradisca e alla Bocconi di Milano del dicembre 2009.
In conclusione viene chiesta la scarcerazione di tutti gli imputati.
Nel suo intervento l'avvocato Fattizzo parlando dei fatti specifici ribadisce che in più casi non c'è stata neppure violenza privata. Ad esempio nel caso del consolato greco l'occupazione si è svolta in un clima superdisteso e la moglie del console, che stando all'ordinanza è stata strattonata minacciata e chissà cos'altro, non vuole neanche sporgere querela. Se in alcuni casi si è andati un pò oltre non si è trattato di episodi preordinati, in questo tipo di iniziative sono cose che capitano.
Da ultimo l'avvocato Soter Catalano interviene brevemente riguardo al caso particolare di Massimo, costretto al divieto di dimora in provincia di Torino.

REPLICA DELL'ACCUSA
La PM Pedrotta (assente Padalino) replica affermando che da quanto si è sentito anche la difesa ammette l'esistenza di reati, e infatti l'ordinanza non mette in discussione il diritto di opinione sui CIE ma il fatto di commettere reati per impedirne la "regolare funzionalità"; aggiunge e ribadisce però che il grave è che questi reati sono commessi secondo un programma criminale che vuole condurre alla guerriglia urbana, nella speranza che i cittadini extracomunitari si sollevino e diano fuoco alla città e alle carceri.
Ritorna sull'intercettazione contenente l'espressione "gruppi di affinità", collegandola alla rivendicazione dell'attacco esplosivo alla Bocconi di Milano.
Sviscerando nei dettagli la medesima intercettazione ne desume che tra i nostri delinquenti si è andato formando un gruppo ristretto con ampi poteri i cui capi sono Andrea e Fabio mentre Maja con la sua personalità decide chi entra e chi esce!
Aggiunge che Andrea e Fabio nelle udienze sulla sorveglianza speciale hanno rivendicato la necessità di fare iniziative efficaci contro i CIE, il che si traduce nel fatto che gli operatori dei CIE e certi partiti politici diventano bersagli di queste iniziative. La moglie del console greco se non sporge querela è perchè è spaventata.
Infine sottolinea che nel periodo in cui erano sotto sorveglianza speciale Andrea e Fabio hanno in qualche modo seguito e alimentato la protesta nel CIE del 6 novembre, l'occupazione dello stabile disabitato denominato Lostile e la protesta che c'è stata durante lo sgombero del 10 dicembre.
Conclude dicendo che i nostri delinquenti se dicono di avere rispetto per gli extracomunitari, di certo non ne hanno per chi lavora nei CIE e per chi è a favore dei CIE...

domenica 7 marzo 2010

[Torino] Presidio contro la repressione


Martedì 2 marzo, ore 17.30 a Torino in via Po 16, punto info/interventi/presidio contro la repressione, in solidarietà ai compagni indagati e arrestati.
Torino è strangolata dalla crisi: la gente fa fatica ad arrivare a fine mese. E chi governa comincia ad avere paura. Paura della rabbia dei nuovi schiavi. Paura che i lavoratori italiani si ribellino ai padroni che lucrano sulle loro vite. Paura che la pratica concreta della solidarietà divenga contagiosa. Paura che la lotta si estenda, che torni nelle barriere operaie il gusto della resistenza, di un agire che prefiguri un domani nel segno della libertà ed eguaglianza. E chi ha paura reagisce male, mette in campo tutta la potenza del suo apparato di propaganda, criminalizza, ridicolizza, umilia ogni forma di opposizione sociale. In questi giorni la magistratura torinese ha arrestato sei antirazzisti e ne ha messi sotto accusa molti altri, accusandoli di aver contrastato le politiche razziste del governo e dei padroni. Li hanno chiamati delinquenti. Se un giorno qualcuno ci chiederà dov'eravamo quando deportavano la gente, quando davano la caccia agli schiavi nelle campagne, quando uomini e donne morivano in mare e nei cantieri, quando un uomo in divisa stuprava una ragazza nel CIE, vorremmo poter rispondere che eravamo lì, con gli altri, a resistere alla barbarie. Perché i delinquenti, quelli veri, siedono sui banchi del governo e nei consigli di amministrazione delle aziende.
Se non ora, quando? Se non io, chi per me?
A tutti gli indagati ed arrestati va la nostra solidarietà. Ancora una volta non sarà la repressione a farci cambiare idea. Anzi. Liberi, liberi tutti. Federazione Anarchica - Torino corso palermo 46 - ogni giovedì alle 21
fai_to@inrete.it 338 6594361

Torino 8 marzo 2010 Presidio in solidarietà



Lunedì 8 marzo a partire dalle 18
in Piazza Madama Cristina
Presidio in solidarietà
con gli antirazzisti arrestati


Per protestare contro la militarizzazione della città in solidarietà con i prigionieri dei C.I.E. in lotta

Andrea, Fabio, Luca, Marco, Paolo, Maya, Massimo

LIBERI, E SUBITO!

Arriva oggi la notizia che Andrea è stato trasferito al carcere di Cuneo.
Di Luca ancora nessuna notizia, potrebbe essere ancora a Torino.
Fabio, come noto, da mercoledì è al carcere Vercelli.

Questi quindi gli indirizzi di Andrea e Fabio:

Andrea Ventrella
via Roncata, 75
12100 CUNEO

Fabio Milan
via del Rollone, 19
13100 VERCELLI