mercoledì 14 ottobre 2009

RIFLESSIONI SU UN EPISODIOPIUTTOSTOCOMUNE E SULLA REPRESSIONE


Mi è successa una cosa strana (ma normale). Insieme ad alcuni amici ho incontrato Sergio Cofferati per la strada e, avendo visto coi miei occhi come ha ridotto la città di Bologna, gli ho urlato qualche insulto. Immediatamente sono spuntate le forze dell'ordine e mi hanno portato in questura. Dopo un'attesa di alcune ore mi è stato consegnato un foglio di via da Genova valido per 3 anni (articolo del codice Rocco, biennio fascista, rivisto nel '56). Se vogliamo sforzarci di prendere seriamente quanto scritto su quel pezzo di carta (igienica) dobbiamo credere che la motivazione principale sia stata proprio... l'insulto a Coffee.

In realtà in questi giorni una pioggia di “avvisi orali” (sempre codice Rocco) è caduta sugli anarchici genovesi; se a me non è arrivato l'avviso orale è perché mi sono trasferito in questa città da pochissimo tempo e mancavano delle motivazioni (anche ridicole) per affibbiarmi tale provvedimento. E' dunque ovvio che il mio foglio di via era già pronto sui computer della questura, le uniche righe lasciate in bianco erano quelle riguardanti la causa del provvedimento. Mi sento ferito nell'orgoglio: l'unica ragione che ho saputo fornire loro fino ad ora è una “aggressione verbale a una personalità pubblica”. Se lo avessi saputo prima prima avrei almeno... beh, meglio non scriverlo quello che avrei fatto.

Entrambi i provvedimenti – foglio di via e avviso orale, articoli 1 e 2 – sono misure preventive che il questore può applicare arbitrariamente a persone che a suo parere turbano la pubblica sicurezza o la moralità. Entrambi gli articoli impongono all'interessato di mutare radicalmente il proprio stile di vita, le proprie frequentazioni, i propri affetti, la propria etica, le proprie opinioni, adeguandosi a quella che è considerata una Condotta Normale, cioè un modello comportamentale che non sia pericoloso per l'ordine costituito. L'avviso orale lo fa permettendo alla persona di restare nel luogo geografico dove si trova, ma sotto la minaccia di diventare un “sorvegliato speciale”, misura alquanto pesante, qualora non chini la testa; il foglio di via intima di togliersi materialmente dai coglioni, con la minaccia di arresto da uno a sei mesi per ogni infrazione. Come qualsiasi altra misura di prevenzione che non preveda la reclusione in un carcere o in altre simili istituzioni (leggi arresti domiciliari, obblighi di dimora, semilibertà, etc), questi provvedimenti ci chiedono addirittura di sorvegliare e reprimere noi stessi, divenendo per metà reclusi e per metà secondini. Non leoni chiusi in una gabbia d'acciaio, ma impiegati incravattati rinchiusi dalle sbarre della paura, che si comportano da bravi bambini senza nemmeno avere la scusa di essere costretti a farlo. Non corpi costretti non da mura e catene, ma menti rinchiuse dalle minacce di provvedimenti futuri. Il prigioniero non viene costretto a non agire, ma a scegliere di non farlo, forse perfino a non voler agire. Questo tipo di repressione, quando funziona, è la più fine e la più profonda che un potere possa attuare. Purtroppo per il potere, non è detto che funzioni. Ciò che i questori e i magistrati non sono in grado di comprendere è che l'etica di un individuo è si mutabile, ma deve nascere dalle nostre pulsioni e non dalla legge dello stato o da una morale esterna a noi.

I tutori dell'ordine hanno sempre represso tutti coloro che non si adeguano alle regole scritte e non scritte. Perché la macchina dello sfruttamento dell'uomo, di ogni specie vivente e dello stesso pianeta possa perpetrarsi indisturbato occorre che gli ingranaggi girino bene, fluidamente, nel verso giusto, che non gli salti in testa di spostarsi. Gli ingranaggi siamo noi. Tre ordini ipnotici risuonano nei nostri cervelli, tre mantra tesi al mantenimento della stabilità dell'esistente: Produci! Consuma! Crepa! Fortunatamente nelle menti di alcuni di noi echeggia pure un'accorata risposta: Ma vaffanculo! Chi ha ancora una volontà propria, dei sentimenti e una ragione si rifiuta di transitare in fila indiana sulle rotaie dell'obbedienza e del conformismo ciechi. Ecco un elenco di cose che mi rifiuto di fare: Chiudere gli occhi di fronte a qualsiasi merdata; Sacrificare il mio tempo e i miei interessi per arricchire un padrone in cambio di pochi spiccioli; Fare shopping per combattere la noia; Aver paura degli immigrati. E chi se ne frega se per questo non rientro – come sarebbe saggio fare – nelle schiere dei Normaloidi, i cui comportamenti non sono censurati e le cui “opinioni” sono certificate da un qualche partito o da un qualche personaggio televisivo. Preferisco starne fuori, anche se quel Fuori è temuto e represso. E' una massa di individui bollati con un'etichetta detestata, o accettata solo sulla carta: anarchici, ribelli vari, stranieri, omosessuali, barboni, cosiddetti pazzi... troppo lungo sarebbe l'elenco, che include chiunque per scelta o per impossibilità non rientri nei ranghi degli sfruttati pacifici. Individui costantemente sorvegliati, spiati, minacciati, giudicati, repressi con mezzi informali (droghe, incitazione alle guerre tra poveri...) e formali (carcere, CIE, comunità...). Non è una differenza da poco quella che divide gli esclusi da chi ha scelto liberamente di essere contro. I primi sono vittime dell'esistente, i secondi sono nemici. E' un passaggio che occorre compiere: prendere coscienza e combattere per la fine dell'oppressione, per cessare di essere esclusi o schiavi obbedienti.

Non scriverò qui se ho intenzione di adempiere o meno all'obbligo di lasciare Genova, ma sia chiaro che ovunque sarò non cesserò di lottare, coi mezzi che di volta in volta riterrò opportuni, perché si realizzi il peggior incubo delle forze dell'ordine e dei loro padroni: un mondo senza gabbie.

Fede



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